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Gli accordi “nel corso della vita familiare” come regola del regime primario
L’art. 144 del codice civile (Indirizzo della vita familiare e residenza della famiglia) prescrive al primo comma la regola che” I coniugi concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia”. E al secondo comma prevede che “A ciascuno dei coniugi spetta il potere di attuare l’indirizzo concordato”.
Questa norma fa parte del regime primario della famiglia. Non sono ammesse prevaricazioni o posizioni di supremazia. La modalità per scegliere come vivere va concordata e non imposta. La distanza è quindi enorme dal testo che la norma aveva prima della riforma del 1975 allorché si prevedeva che “Il marito è il capo della famiglia… la moglie è obbligata ad accompagnarlo dovunque egli crede opportuno di fissare la sua residenza”.
La regola dell’accordo è posta a presidio del principio di parità e di uguaglianza. Non interessa al legislatore il contenuto dell’accordo, quanto piuttosto il metodo.
Trovare un accordo non è, però, sempre una cosa facile. Il codice viene incontro a questo rischio soltanto se il disaccordo concerne questioni di una certa rilevanza.
L’art. 145 c.c. – per il caso in cui i coniugi non riescano a trovare un accordo su “affari essenziali” – prevede, infatti, che “…ciascuno dei coniugi può chiedere, senza formalità, l'intervento del giudice il quale, sentite le opinioni espresse dai coniugi e, per quanto opportuno, dai figli conviventi che abbiano compiuto il sedicesimo anno, tenta di raggiungere una soluzione concordata. Ove questa non sia possibile e il disaccordo concerna la fissazione della residenza o altri affari essenziali, il giudice, qualora ne sia richiesto espressamente e congiuntamente dai coniugi, adotta, con provvedimento non impugnabile, la soluzione che ritiene più adeguata alle esigenze dell'unità e della vita della famiglia”. Un meccanismo di intervento giudiziario molto debole, di modestissima plausibilità e pressoché sconosciuto nella prassi.
Per le unioni civili l’art. 1, comma 12, della legge 20 maggio 2016, n. 76 prevede simmetricamente che “le parti concordano tra loro l'indirizzo della vita familiare e fissano la residenza comune; a ciascuna delle parti spetta il potere di attuare l'indirizzo concordato”.
Non viene espressamente richiamato per le unioni civili l’art. 145 c.c. e quindi per tali unioni non trova applicazione il procedimento sopra descritto per i coniugi. Più che ragioni ideologiche è verosimilmente la pressoché inesistente prassi applicativa della norma ad aver convinto il legislatore a non prevedere l’applicazione di questa norma nella legge sulle unioni civili del 2016. Anche per quanto previsto nel comma 20 di tale legge – che esclude l’applicazione delle norme del codice civile non espressamente richiamate – l’applicabilità quindi del procedimento di cui all’art. 145 c.c. è esclusa per le unioni civili, con ciò confermandosi il principio generale che sostanzialmente nega l’intervento giudiziario in corso di rapporto, ammettendolo solo in caso del venir meno della vita in comune.
Il regime primario del matrimonio e dell’unione civile prevede, quindi, come modalità di relazione tra le parti in corso di rapporto quella dell’accordo.
Nei rapporti di convivenza – ugualmente regolamentati dalla legge 20 maggio 2016, n. 76 - la regola dell’accordo non è indicata per quanto attiene ai rapporti di natura personale in corso di rapporto, ma non si vede quale possa essere altrimenti il principio che accompagna la vita di coppia se non quella del concordare l’indirizzo comune. E d’altro lato nessuno ha mai dubitato che la regola dell’accordo sia l’unica regola possibile per disciplinare i rapporti tra le persone che vivono insieme. Il legislatore ha avvertito l’esigenza di indicare la regola dell’accordo per i coniugi (e poi simmetricamente per le unioni civili) solo per rafforzare quel principio di uguaglianza e di parità nel matrimonio che il testo dell’art. 144 c.c. prima della riforma del diritto di famiglia del 1975 negava indicando sotto la rubrica di “potestà maritale” la regola che “il marito è capo della famiglia; la moglie segue la condizione civile di lui, ne assume il cognome ed è obbligata ad accompagnarlo dovunque egli crede opportuno di fissare la sua residenza”. Venuti meno questi principi di asimmetricità nella coppia che si unisce per un progetto di vita in comune, l’unica regola plausibile diventa quella dell’accordo tra persone in condizioni di parità.
Ne deriva che la regola dell’accordo fa parte del regime primario del matrimonio, dell’unione civile e della convivenza di fatto perché costituisce l’unica regola ipotizzabile nelle relazioni personali di natura familiare.