I
In che consiste, come si costituisce e come si estingue il diritto di abitazione?
Il codice civile all’art. 1022 definisce il diritto di abitazione di un immobile come il diritto di una persona di abitarlo “limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia”. Un diritto il cui limite, però, non deve essere inteso in senso quantitativo, che imporrebbe la difficile determinazione della parte di casa necessaria a soddisfare tali bisogni, ma solo come divieto di utilizzo della casa in altro modo che non sia l'abitazione diretta del titolare e dei suoi familiari (Cass. civ. Sez. II, 27 giugno 2014, n. 14687).
La definizione non deve trarre in inganno. Non si tratta, infatti, di un diritto personale di godimento, naturalmente, ma di un diritto reale limitato su cosa altrui. E quindi anche in questa situazione esistono due soggetti: da un lato il nudo proprietario e dall’altro il titolare del diritto di abitazione il quale ultimo si vede riconosciuto un diritto che limita i diritti del proprietario e che è esteso alla soddisfazione dei bisogni anche della sua famiglia. Ed è proprio questa estensione che giustifica, come si vedrà, una particolare disciplina di protezione del diritto.
Si capisce da queste prime considerazioni che il “diritto di abitazione” come diritto reale limitato è un concetto diverso da quello più ampio di “abitazione”, intendendosi con questo termine la stabile dimora in un determinato luogo che coincide con la residenza di una persona (art. 3, DPR 30 maggio 1989, n. 223 - Approvazione del nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente) con le modifiche apportate dal DPR 17 luglio 2015, n. 126) (Trib. Firenze, Sez. I, 5 maggio 2017), situazione che, per il titolare di un diritto reale di abitazione, finisce per coincidere.
Trattandosi di un diritto reale, il diritto di abitazione può essere costituito mediante testamento, usucapione o contratto, per il quale è richiesta ad substantiam la forma dell'atto pubblico o della scrittura privata. Il principio è stato affermato molto chiaramente in una lontana decisione (Cass. civ. Sez. II, 21 maggio 1990, n. 4562) in una vicenda nella quale una persona era stata condannata a risarcire i danni in seguito ad una sentenza che aveva dichiarato abusiva l’occupazione dell’immobile in cui viveva, nonostante che l’interessato avesse esibito una lettera con cui asseriva che sarebbe stato concesso alla di lui moglie un diritto di abitazione. La Cassazione affermò che la tesi era infondata per la ragione che il diritto di abitazione non può essere costituito con una lettera ma, avendo natura reale, solo mediante testamento, usucapione o contratto. In seguito il principio è stato ripreso e ribadito anche dalla giurisprudenza di merito (Trib. Bari, 23 marzo 2007). Pertanto nessuna manifestazione di benevolenza e di disponibilità, può avere come conseguenza la costituzione di un diritto reale di abitazione.
Se costituito con atto negoziale, ai sensi degli articoli 2643 n. 4 e 2644 c.c. il diritto di abitazione grava sulla proprietà ed è naturalmente opponibile ai successivi acquirenti o aventi causa dal proprietario che abbiano trascritto il proprio titolo successivamente alla sua trascrizione.
Il diritto di abitazione si estingue per morte di chi lo abita e per rinuncia al diritto. Si vedrà più oltre come in base all’art. 2812 c.c. il diritto di abitazione trascritto dopo l’iscrizione di una ipoteca si estingue con l’espropriazione del bene.